mercoledì 15 settembre 2010

CENNI DI STORIA DELLA TOPONOMASTICA URBANA A CAPENA

Solo a partire dalla prima metà del XIX secolo si afferma per il centro abitato di Leprignano una toponomastica imposta dall’autorità comunale; in precedenza, le denominazioni contrassegnanti le zone in cui si articolava il nucleo urbano del paese erano fondate esclusivamente sull’uso locale.
Per quanto riguarda la parte più antica del centro abitato, nel corso del ’700 si affermano i toponimi Paraterra e Cesata, che soppiantano una molteplicità di designazioni (mezzo la terra, piedi la terra, casa spallata, il forno, pozzo palombara, ecc.), le quali andarono significativamente scomparendo a mano a mano che si ridusse l’importanza del nucleo castellano originario. Accanto ai due citati, vi sono tuttavia toponimi di uso risalente con riferimento a questa parte del paese che sopravvivono ancor oggi, come la Rocca, che è tra i più antichi in quanto legato al Palazzo dei Monaci, sorto in epoca altomedievale, e Piazza Berletta, già attestato nel catasto del 1703 e poi diventato Piazza Barletta; concerne il nucleo più antico anche via di Malcalata, toponimo oggi scomparso, che non sembra tuttavia attestato prima del XIX secolo.
All’esterno dello zoccolo tufaceo su cui sorge la parte più antica del paese, è possibile individuare con chiarezza uno strato di denominazioni di origine ottocentesca, che rappresenta il primo ordinamento toponomastico che, deciso dall’Amministrazione locale, vada al di là del mero riferimento all’uso del posto: oltre a Piazza del Popolo, già “Piazza” tout court di Leprignano, vi sono denominazioni che rimandano all’opera del Galletti “Capena municipio de’ Romani” pubblicata nel 1756, come le vie intitolate a Olcimia Gemina e a Vetuleno Procolo (errata è la grafia “Vetulano”), dedicante la prima e dedicatario il secondo di un’iscrizione letta dal Galletti su un cippo da lui rinvenuto sul colle di Civitucola, e come la stessa via Capena, dove il riferimento è all’ipotesi del Galletti, poi confermata, secondo la quale l’antica Capena sorgeva sul colle di Civitucola o Castellaccio, in un luogo che poi divenne territorio di Leprignano. Altri toponimi, imposti nello stesso periodo, non fanno che recepire nomi di luogo già da lungo tempo vivi nel parlato locale: così è per via della Conca, per via delle Scalette, per la via di Portanuova, per via delle Mandre (toponimo storpiato in “Mandole” almeno a partire dal ’900), per via delle Vaschette e per la via del Monte, distinta tuttavia tra via del Monte basso, via del Monte alto e via dei Tre Monti; ancora allo stesso periodo risalgono il Borgo Aproniano, che rimanda all’ipotesi sull’etimologia di “Leprignano” che appare formulata per la prima volta dal Nibby nella sua opera “Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de’ dintorni di Roma” pubblicata in seconda edizione nel 1849, la via Collinense, denominazione la cui origine non è chiara, e via San Luca, già facente parte della zona della Conca e così chiamata in relazione alla chiesa un tempo sita dove oggi si trova il Centro Sociale Anziani, la quale, costruita nella seconda metà del ’400 e dapprima intitolata al solo San Sebastiano, fu poi condedicata a San Luca, eletto patrono di Leprignano ai primi del ’700.
Risale probabilmente al primo ’900 – ed è successivo alla prima guerra mondiale se vi rientra la denominazione via IV Novembre, che viene a designare nel primo dopoguerra quello che precedentemente era stato dapprima un tratto della via della Conca e quindi tratto di via Umberto I – lo strato toponomastico che fa riferimento a fatti d’arme del Risorgimento italiano: così per le vie Solferino e Montebello, che sostituiscono rispettivamente via del Monte basso e via dei Tre Monti, e per via Magenta, che sostituisce la via Collinense. Allo stesso periodo debbono risalire via dei Mille – già via delle Mandre – e via del Lavatoio – già via delle Vaschette, nonché le denominazioni toponomastiche che fanno riferimento a connazionali illustri, come via Guglielmo Marconi – già “Borgo Aproniano” -, e inoltre via Cristoforo Colombo e via Galileo Galilei, le quali sostituiscono rispettivamente “via di Paraterra” e “via di Malcalata”; nonché ancora largo Agostino Barbetti, già rientrante in via Umberto I. Anteriore alla seconda guerra mondiale sono anche le denominazioni via Fausto Cecconi, già tratto iniziale di via della Conca e quindi tratto di via Umberto I, e via Angelo Scambelluri o Sgambelluri, che si sostituisce a via San Luca e che poi ridiventerà via San Luca.
Altro strato toponomastico risale al secondo dopoguerra: si tratta di via XXV Luglio, che sostituisce via dei Bastioni, precedentemente ancora detta via del Monte alto; di via Giacomo Matteotti, già via di Portanuova e quindi tratto di via Umberto I; di via Eugenio Curiel, già via Regina Margherita di Savoia e prima ancora via di Bombelli; di via 2 Giugno, che battezza quello che prima era un semplice “vicolo cieco”.
Un cenno a parte merita via Silla, denominazione che non ha nulla a che vedere, in realtà, con l’omonimo personaggio della storia romana: alla base vi è infatti un toponimo sia rurale che urbano, il Viaziglio o Viazillo o Viasillo, che come toponimo rurale viene storpiato in Vasivo e come toponimo urbano diviene a partire dall’800 via di Sillo e infine viene fissato in “via Silla”, con probabile accostamento paretimologico al nome del personaggio storico. Il “Viaziglio” sorge dalla fusione di più elementi in un’unica parola: il toponimo si presenta infatti intorno alla metà del ’500 nella singolare forma di via de Zii Giglio.

UN'ARCHITETTURA URBANA A CAPENA E LA SUA STORIA: IL PALAZZO DEI RAGGI

E’ conosciuto come “palazzo dei Raggi” l’edificio la cui entrata è in via Fausto Cecconi, al numero civico 2: ripercorrerne le vicende sarà anche l’occasione per parlare di personaggi che non sono tra i meno importanti della storia leprignanese.
Il 24 novembre 1721 Giacomo Filippo Stazi, sostituto del notaio capitolino Francesco Floridi, rogava l’atto relativo alla presa di possesso, da parte della leprignanese Angela Tobili, dell’eredità pervenuta a lei come figlia ed erede ab intestato del fu Ubaldo Tobili, nonché come nipote ed erede testamentaria fidecommissaria dell’avo paterno Marco Tobili: nel cospicuo patrimonio immobiliare inventariato nell’atto, si fa menzione anche “unius domus magnae hereditariae dicti quondam Marci positae extra dictam terram in vocabulo Conca”, composta di tre appartamenti “una cum tribus cellariis subtus…iuxta ab uno bona heredum quondam Petri Mocci, et ab alio viam publicam”; nel medesimo protocollo notarile, in data 5 dicembre 1721, vi è la “adhitio hereditatis quondam Ubaldi Tubilii” da parte della figlia Angela, rappresentata dal procuratore Pietro Badini e citata con un doppio cognome (Tobili Antonetti), aggiungendosi a quello di origine il cognome del marito; il 9 gennaio 1722, “pro Domina Angela Tubilia de Antonettis”, viene redatto il vero e proprio “inventarium bonorum hereditariorum quondam Marci, et Ubaldi Tubilii“, tra i quali vi è anche “una casa posta fuori di Leprignano in vocabolo le Mandre di tre appartamenti, soffitte, longia (sic), dui granari, e con tre cantine di sotto, e sua grotta, e nella cantina, dove sta la grotta…numero dieci botti romanesche cerchiate di legno di barili ventiquattro l’una piene di vino, che si dice esser stato ritratto dalla vigna ereditaria di detto quondam Marco posta nel territorio di Leprignano in vocabolo Martolana ritenuta a mezzo dal quondam Giovanni Francesco Ricci, che perciò detto vino dovrà dividersi con Maria Diana Gentili vedova relitta, et erede testamentaria del medesimo”: si tratta, come si evince dalla descrizione, della medesima “casa grande ereditaria” menzionata nel rogito di presa di possesso; nella successiva elencazione dei beni mobili contenuti nella casa, spiccano anche non pochi quadri.
Angela Felice Tubili, figlio di Baldo, o Ubaldo, e della castelnovese Margherita Caproli, era nata a Leprignano il 3 marzo 1688 ed era stata battezzata nella chiesa di San Michele Arcangelo il 7 di quello stesso mese, essendo padrino e madrina i coniugi Antonio e Camilla Ciancarini; il suo atto di morte è datato 13 ottobre 1754, e in esso risulta essere stata sposata tre volte, in seconde nozze con un Filippo Antonetti e in terze nozze con Lucio Domenico Controversi, nativo di Valentano, che le sopravvisse. In alcuni atti notarili tra 1650 e 1660 troviamo menzionato il nonno paterno Marco, nativo di Sant’Angelo di Pesaro, da identificarsi con ogni probabilità con l’odierno Sant’Angelo in Lizzola.
Dal matrimonio con Filippo Antonetti, Angela Tubili ebbe un figlio che esercitò la professione notarile in Roma, ma è sul terzo matrimonio che dobbiamo portare ora l’attenzione, perche da esso nacque l’erede della “casa grande” tra la Conca e la Mandre. Un memoriale redatto nel 1737 e inviato alla Sacra Congregazione del Buon Governo (S. C.) traccia un profilo della carriera “leprignanese” di Lucio Domenico Controversi Cotta (il cognome è talora semplicemente “Controversi”, talaltra “Controversi Cotta”): egli, mentre esercitava a Roma l’avvocatura, conobbe e sposò Angela Tubili, figlia unica di condizione “riguardevole”, anch’essa residente a Roma; la coppia si trasferì quindi a Leprignano, luogo d’origine della sposa, dove il Controversi fu dal Consiglio Generale della Comunità eletto nel novero dei consiglieri dei Trenta e poi, “crescendo…nell’estimatione appresso quel Publico”, fu eletto esattore e deputato a distribuire il “denaro che in credito della Comunità tenevasi in deposito nel Banco del signor Minucci depositario della Reverenda Camera affinché la Comunità potesse servirsene in reintegrazione, et altre occorrenti spese per il primo Passaggio delle Truppe Spagnole”; “seguìto successivamente il secondo passaggio fu il medesimo Controversi da detto General Conseglio destinato a pieni voti per sopraintendente maggiore per detto passaggio”; in prosieguo di tempo, fu eletto capo priore, e successivamente procuratore dei poveri e paciere, “ne’ quali impieghi…aquistò (sic) un plauso universale”; nel consiglio del 27 marzo 1735 venne eletto ancora esattore delle rendite comunitative (per l’esercizio del 1737), ma qui cominciano i guai, perché, dopo essersi il Controversi già immesso nell’esercizio delle funzioni di esattore, alcuni asseriscono, riuscendo a convincere i priori, che esiste una causa d’incompatibilità per la quale il Controversi deve rinunciare a tale incarico: è infatti pendente una lite tra la Comunità e la moglie del Controversi, Angela Tobili, essendo entrambe creditrici dell’eredità del fu Ubaldo Tobili, con il quale nel 1714 la Comunità aveva iniziato una causa. Nel 1742 si è ai ferri corti: i priori vogliono rimuovere dall’incarico di cancelliere Giuseppe Ottaviani, il quale “ha strettissima amistà con Domenico Controversi col quale la Communità ha alcune liti, e il detto Ottaviani gli ha fatti attestati come Cancelliere ed ha estratte partite da libri della Communità senza farne motto alcuno alli Priori”; inoltre, poiché il cancelliere legge le lettere del procuratore, vi è il rischio che riveli i “segreti della causa” all’avversario, con cui è in combutta. Nel 1743 la Comunità si rivolge alla S. C. perché sia rivista la sentenza sindacatoria emessa dal Controversi e da Leandro Berardi sull’esattorato di Giovanni Battista Gaggini nel 1738: del Controversi è detto che “non è huomo da fidarsi, che per le sue bone qualità sono oggi 43 giorni, che il Padre Abbate lo tiene in segreta carcerato”.
Una tra le liti vertenti tra il Controversi e la Comunità era legata al fatto che il Controversi, con istromento rogato il 13 novembre 1740, aveva preso in affitto la tenuta di Pantano e Scarsicaro per un triennio al prezzo di scudi 1681, che il Controversi non poté pagare non avendo potuto ritrarre alcun raccolto dalla tenuta a causa delle reiterate inondazioni del Tevere: di ciò egli incolpa la Comunità, la quale, secondo lui, non aveva “adempito all’obligo convenuto di spurgar li formoni maestri per lo scolo dell’acque”, i quali sono quelli “detti della Fioretta e della Nocella”; la S. C. nega al Controversi anche solo una riduzione dell’affitto e il Controversi ricorre al papa, Benedetto XII; la causa torna alfine alla S. C.. Non sappiamo come andò a finire la causa sull’affitto della tenuta comunale di Pantano e Scarsicheto, ma sappiamo che la causa iniziata nel 1714 tra la Comunità e Ubaldo (o Baldo) Tobili fu alfine ereditata dal genero del Controversi e della Tobili, Francesco Marotti, che sposò Angela Maria Controversi, omonima della madre e come essa, sembra, figlia unica.
Francesco Marotti, sposando la Controversi, venne anche in possesso della casa grande tra la Conca e le Mandre, e in questa alloggiò nel 1777 monsignor Todeschi, inviato dalla S. C. in ispezione a Leprignano perché riferisse sulla fondatezza o meno dei reclami avanzati dagli abitanti del luogo contro oneri, che essi supponevano indebiti, imposti del monastero di san Paolo. Il Todeschi, nonostante i positivi apprezzamenti riservati nella sua relazione agli abitanti del luogo e al Marotti in particolare (il quale, come vedremo, era un antimonastico), confuta spietatamente tutte le pretese dei Leprignanesi, facendo per lo più ricorso all’argomento dell’immemorabile.
Il Marotti, avvocato nativo di Rocca Sinibalda, fu principalissimo artefice della vittoria giudiziaria che, da lui e da quegli undici leprignanesi che nel 1777 gli sottoscrissero il mandato di procura, fu riportata sul monastero di San Paolo con decisione rotale emessa il 16 aprile 1779, la quale giudicò “privati viziosissimi codici” i catasti che del territorio di Leprignano erano stati formati a cura del Monastero; a lui, altresì, va in larga parte il merito di due pronunce favorevoli alla Comunità di Leprignano rese dalla S. C., l’una nel 1779, l’altra nel 1780, concernenti la ripartizione dei carichi tributari tra Monastero e Comunità. Non mancavano tuttavia in Leprignano i suoi detrattori, i quali facevano leva anche sulla già citata causa pendente tra la Comunità e gli eredi di Ubaldo Tobili (del quale Angela Maria Controversi, moglie del Marotti, era nipote “ex filia”), per insinuare il sospetto che dietro la sua attività in favore della Comunità ci fosse l’intenzione anche di far “dimenticare” questa lite, in cui erano in gioco somme rilevanti.
E’ significativo che il figlio di Francesco, Vincenzo, sia stato pretore del cantone di Morlupo al tempo della prima Repubblica Romana (1798-1799); che il nipote e omonimo di Francesco sia poi stato eletto priore di Leprignano al tempo della seconda Repubblica Romana (1849); che il bisnipote di Francesco, altro Vincenzo, sia stato il primo segretario comunale di Leprignano in epoca postunitaria. In una nota inviata nel 1876 dal parroco di Leprignano Sebastiano Felici all’abate di San Paolo, il Marotti padre e figlio (Francesco e Vincenzo) sono segnalati tra coloro che non hanno soddisfatto al precetto pasquale. La famiglia Marotti dovette conoscere un dissesto economico, poiché con atto rogato l’8 agosto 1878 dal notaio Antonini di Castelnuovo di Porto, Francesco e il figlio Vincenzo vendettero ben diciotto fondi tra urbani e rustici per complessive dodicimila lire al possidente cavalier Francesco Pagnani, nato a Nocera Umbra e residente in Castelnuovo, e tra essi è annoverato un “accasamento posto in via della Conca, e corrispondente nell’altra via detta delle Mandre, composto di numero trentuno vani, oltre due sterrati scoperti ma recinti da muri, un mignano, una loggia, ed una terrazza sopra il tetto, non che l’annessa cisterna, demarcato dalla parte di via della Conca con i numeri civici 1.91.92=dalla parte della strada delle Mandre con i numeri 1.2.3=nell’assieme distinta nella mappa con il numero 731=confinante dal lato nord con il bivio delle suddette due strade, da quello sud con Sinibaldi Pietrantonio, ed eredi Laudi, da levante con la ridetta via della Conca, e da ponente con l’altra delle Mandre, per il valore attibuitogli con consenso unanime di lire 6432.92″.
La “casa grande” tra la Conca e le Mandre passò così di mano; morto Francesco Pagnani, la proprietà dell’immobile passò ai figli Giuseppe, Pietro, Maria ed Elena, ai quali fu intestato in seguito a voltura datata primo novembre 1888, come risulta dal primo catasto urbano postunitario; anche i Pagnani dovettero conoscere un dissesto finanziario poiché l’immobile, in seguito a pubblica asta, fu aggiudicato, con sentenza emessa il 19 febbraio 1892 dal Tribunale Civile di Roma, ai fratelli romani Giuseppe e Giovanni Ugolini, menzionati nell’iscrizione posta sopra l’entrata dell’edificio in via Fausto Cecconi 2 come coloro che promossero nel 1894 la ricostruzione dell’immobile: dal già citato primo catasto urbano postunitario di Leprignano risulta, dopo il passaggio della proprietà ai fratelli Ugolini, una demolizione e successiva ricostruzione dell’immobile, per la quale questo passò in consistenza da cinque piani e trentacinque vani a sei piani e quarantotto vani. Defunto celibe e senza prole in Roma Giuseppe Ugolini il 13 maggio 1908, la proprietà della metà che dell’edificio spettava al defunto passò in parti uguali a Raggi Pietro ed Elena (figli di Gioacchino e di Ugolini Luisa), e alle sorelle Mazzetti Maria, Agnese, Pia e Augusta del fu Gustavo, tutti e sei, con ogni probabilità, eredi testamentari di Giuseppe Ugolini, mentre l’altra metà restò di proprietà di Giovanni Ugolini, finché, morto anche questi celibe e senza prole il 24 gennaio 1918, anche la sua metà passò alle sei persone già comproprietarie in parti uguali dell’altra metà. Con l’entrata in scena, novecentesca, di Raggi Pietro ed Elena fratello e sorella, spieghiamo anche la denominazione odierna dell’immobile: si tenga presente che i Raggi possedevano fondi rustici nel territorio di Leprignano fin dalla prima metà dell’Ottocento. L’immobile fu, dopo la morte di Giovanni Ugolini nel 1918, frazionato in undici subalterni e, a partire dagli anni ’20-’30, gli appartamenti di cui si componeva furono venduti a privati di Leprignano. Sicuramente esso aveva conosciuto un ingrandimento già prima della demolizione e ricostruzione di fine ’800: dagli originari tre appartamenti con tre cantine sottostanti, infatti, esso era passato ai cinque piani con trentacinque vani attestati nel primo catasto urbano postunitario di Leprignano, inglobando probabilmente parte del terreno ortivo che, nel catasto di Leprignano del 1778, risulta essere contiguo all’immobile e anch’esso di proprietà di Francesco Marotti; parte di tale terreno, probabilmente, venne anche a costituire quei “due sterrati scoperti ma recinti da muri” menzionati nella descrizione dell’immobile contenuta nel già citato rogito Antonini dell’8 agosto 1878.
E i Marotti? Francesco morì poco tempo dopo la grande “svendita” del 1878, lasciando un testamento in cui, oltre al figlio unico Vincenzo, istituiva erede Enrichetta Turòli, figlia di Vincenzo Turòli, medico condotto in Leprignano, la quale si era presa cura di lui nella sua vecchiaia; e forse dovette amareggiare il figlio il fatto che il padre, pur rammaricandosi nel testamento di aver dovuto vendere un cospicuo patrimonio immobiliare per sfortunate vicende, lasciasse poi per sovrammercato tanta parte del rimanente (esclusivamente o quasi beni mobili) a un’estranea alla famiglia. Nel giugno del 1880, Vincenzo Marotti trasferì la propria residenza a Castelnuovo di Porto e quivi, ormai prossimo ai cinquant’anni, sposò con rito dapprima solo civile la vedova nazzanese Margherita Sciòmmeri; nel 1882 volle contrarre con la Sciòmmeri anche matrimonio religioso e nello “stato libero” formato il 17 maggio 1882 dal parroco di Leprignano si legge che il Marotti “ha celebrato il matrimonio civile in Castelnuovo di Porto, ove dimora, e non aveva affatto intenzione di celebrare il matrimonio religioso, atteso (sic) le cattive sue massime”.
Una traccia della famiglia Marotti a Capena rimaneva, almeno fino a qualche tempo fa, nella toponomastica popolare: qualche anziano ancora ricorda come l’odierna via Fausto Cecconi fosse un tempo denominata “salita di Morotti”, dove “Morotti” è un’alterazione di “Marotti”, cognome di coloro che lungo quella salita possedettero fino al 1878 la “domus magna” che appartenne in principio all’immigrato di origine marchigiana Marco Tobili.

LA FESTA PATRONALE A CAPENA - PROFILI STORICI

Il 30 novembre 1706 si riunisce il Consiglio generale della Comunità di Leprignano: nell’ordine del giorno proposto all’adunanza si dice che “è stato dato memoriale per parte di questo Popolo all’Illustrissimo e Reverendissimo Padre Abbate Padrone di poter fare la festa di San Luca di Precetto, e prendere il medesimo Santo per protettore di questo luogo. Al che si è compiaciuto benignamente rescrivere che se ne facci il publico Consiglio. Onde lor Signori risolvino se s’ha da fare detta festa di Precetto come sopra”; Domenico Francesco Aleo, prendendo la parola, propone di fare di precetto la festa di San Luca e “che la Communità debbia spendere ogni anno del proprio scudi dieci moneta per beneficio della Cappella”. La proposta viene approvata con cinquantasette voti favorevoli e cinque contrari , ma la spesa e l’aggravio di bilancio, che essa comporta, devono essere approvati dalla Sacra Congregazione del Buon Governo (S. C.), sorta di ministero dello Stato Pontificio con funzioni di controllo sulle Comunità e principalmente sui loro bilanci. La supplica inviata alla S. C. per l’approvazione della risoluzione consiliare deve vedersela con l’occhiuto esame del “ratiocinator”, chiamato a dare un quadro degli adempimenti e degl’inadempimenti della Comunità leprignanese in fatto d’invio dei bilanci alla Congregazione stessa, perché questa possa controllarli: risulta che “la Communità” deve ancora mandare la tabella del 1706, con la nota delle spese straordinarie dal primo aprile 1705 a tutto marzo 1706, e che restano sospese le tabelle (=i bilanci) dal 1702 a tutto il 1705 “a causa, che mancano le note delle spese straordinarie dal primo aprile 1701 a tutto marzo 1702 e dal primo aprile 1702 a tutto marzo 1703″, né nelle suddette tabelle si dà conto dell’impiego che è stato fatto del sopravanzo di bilancio del 1701; la Comunità, dunque, trasmetta prima la tabella del 1706, le note mancanti delle spese straordinarie nonché “le sindicationi fatte principiando da quella del 1701 a tutto il dett’anno 1706″, e poi si vedrà se è possibile approvare questa nuova voce di spesa “per magiormente promovere la devotione verso detto Santo”: “transmittant tabellas et notulas expensarum iuxta folium ratiocinatoris”, è la secca risposta della S. C. . I problemi di controllo del bilancio della Comunità fanno arenare per qualche anno la proposta, finché il Consiglio generale è chiamato, il 19 ottobre 1710, a pronunciarsi nuovamente su di essa: il popolo di Leprignano – è detto nell’ordine del giorno – desidera eleggere “per Padrone, e Protettore principale di questa Terra di Leprignano il gloriosissimo evangelista San Luca, per non haver la medema altro Protettore principale tanto maggiore, che dall’antecessori la di lui festa si osservava, e teneva quasi per votiva, havendo nel di lui giorno ricevute gratie speciali”; perciò “questo Popolo mosso dalla grande divotione verso il detto Santo diede memoriale al Reverendissimo Ordinario acciò si degnasse ordinare che di ciò se ne facesse conseglio come in effetti l’ha ordinato secondo appare nel presente memoriale e retificare (sic) il primo Conseglio con dare dalla sudetta nostra Communità li scuti dieci l’anno “; il Consiglio, questa volta all’unanimità con 63 voti favorevoli, approva. La devozione verso San Luca evangelista, dunque, era già agli inizi del ’700 radicata da lungo tempo in Leprignano: già nei libri degli atti civili dei vicari del XVI secolo troviamo talora citati i “camerari della festività di San Luca”, per lo più attori in giudizio innanzi al vicario (=governatore) locale allo scopo di ottenere il versamento dei contributi dovuti dai membri della compagnia o confraternita che curava il culto del Santo, e di recuperare così il denaro speso per la festa. All’inizio del ’700 sopravviene, come si è visto, una sanzione ufficiale alla devozione popolare: la Comunità elegge il Santo a proprio protettore principale e la festa del terzo evangelista viene resa di precetto, ponendosi inoltre a carico del bilancio comunale un contributo annuo di dieci scudi. I versamenti di tale contributo sono attestati dai libri degli ordini di pagamento dell’archivio storico comunale , dai quali traiamo l’elenco di coloro che, anno dopo anno, in qualità di “camerlenghi della Venerabile Compagnia di San Luca”, percepivano i dieci scudi di contributo comunale (la data è quella della “spedizione” dell’ordine di pagamento; la lacuna cronologica tra 1760 e 1773 è dovuta all’incompletezza della serie dei libri degli ordini di pagamento nell’archivio storico comunale): 8-9-1739: Domenico Alei e Nicola Martini 28-10-1740: a Lucantonio Moretti sono versati cinque scudi “per haver venduto un palio alla V. Compagnia di San Luca nel giorno della festa per fare la corsa del saracino…in conto de scudi dieci che deve ogni anno la nostra Communità alla sudetta Compagnia” 5-10-1741: Domenico Controversi e don Andrea Bizzarri 16-10-1742: Lucantonio Moretti e don Angelo Barbetti 16-10-1743: Matteo Pagliuca e Giovanni Coleiazza 23-10-1744: Domenico Azzimati e Tomasso Grassi 16-10-1745: Giacomo Picconio e Paolo Alei 9-10-1746: Paradiso Sinibaldi e Fabbio Moriconi 15-10-1747: Gennaro Alei 4-10-1748: Nicola Sacripante e Paolo Sozii 7-10-1749: Tomasso Antonio Barbetti e Tomasso Grassi 6-10-1750: Pietro Graziosi e Felice Tacconi 12-9-1751: non specificati 3-10-1752: Domenico Azzimati e Tomasso Grassi 9-9-1753: “scudi dieci alli cammerlenghi di San Luca per la solita cera” 13-10-1757: don Benedetto Gaggini e don Mariano Moretti 15-10-1758: Bonifacio Ricciardini e Carlantonio Aloisi 12-10-1759: Domenico Alei e Sebastiano Foscarini ………………………………………………………… 4-9-1774: don Benedetto Gaggini arciprete e don Mariano Moretti 3-9-1775: don Benedetto Gaggini arciprete 23-8-1776: Ascenzio Pagliuca e compagno settembre 1779: don Benedetto Gaggini ottobre 1786: Luigi Sinibaldi e compagno ottobre 1787: Nicola Bizzarri e compagno 11-10-1788: Giuseppe Rossi 23-8-1789: Antonio Coleazza 15-10-1790: Giuseppe Silvi Susseguentemente alla sanzione ufficiale del culto di San Luca agli inizi del ’700, con elezione dell’evangelista a protettore di Leprignano, venne anche la dedicazione di un altare a San Luca all’interno della chiesa di San Sebastiano: troviamo descritta tale chiesa in una relazione della visita che nel 1660 fu fatta “Episcopatuum Ostiensis, ac Velliternensis Portuensis, et Albanensis, necnon Castrorum Nazzani Civitellae, et Liprignani nullius Dioecesis…per Reverendissimum…Marcum Antonium Thomatum olim Episcopum Bitectensem Delegatum Apostolicum “. La chiesa di San Sebastiano, poi detta di San Luca in onore del santo protettore cui venne dedicato un altare all’interno della chiesa stessa, sorgeva lungo l’odierna via Sasn Luca, e precisamente, per esprimerci nei termini toponimastici di una volta, in cima alla “salita della Conca”, che includeva l’odierna via IV Novembre e la parte di via San Luca in più ripida pendenza, a conclusione della quale, sulla sinistra per chi proceda verso l’odierna piazza San Luca, si trovava la chiesa di cui si tratta. Secondo la relazione della visita, essa era stata eretta “ex voto temporibus antiqui contagii ab incolis funditus”: il “contagio” cui si fa qui riferimento è, con ogni probabilità, la peste da cui fu colpita Leprignano nel 1456, allorché la popolazione non colpita dal male fuggì dal centro abitato e si rifugiò nella campagna dei paesi circostanti. Non potendo entrare nei centri abitati rimasti immuni dal contagio, i Leprignanesi sani, per poter udir messa, ristrutturarono un chiesetta campestre sotto il titolo di San Giovanni e rivolsero una supplica al pontefice Callisto III perché vi si potessero celebrare le sacre funzioni, impiegando all’uopo un altare portatile: la supplica fu approvata il 19 settembre 1456 . Il visitatore del 1660 descrive la chiesa come “magnae latitudinis, et altitudinis moderatae”; essa è custodita “a fratribus societatis laicalis in ea erectae, qui onera missarum ibidem imposita executioni mandare curant, habentque nonnulla ornamenta Altarium, et sacerdotalia pariter ad missae celebrationem”. L’altare maggiore è dedicato a San Sebastiano e “fornice parvulo colorato contentum est cum statua eiusdem Sancti, martirium quoque Sancti Joannis Baptistae, et Divae Caterinae Virginis a sinistris aparet”. Vi sono inoltre due “altaria parvula”, “a cornu epistolae Sanctissimi Crucifixi cum eius imagine in pariete picta, nec non Beatae Virginis atque Sanctorum Joannis Evangelistae Rochi, et Sebastiani. A cornu vero evangelij S. Blasij cum imagine pariter eiusdem in muro depicta una cum Sanctis Virginibus Caterina, Ursula, et Agata”. Inoltre: “Sepulcra item adsunt nonnulla pro incolis, et advenis, sicuti et turris cum sua campanula”. Come si può notare, non vi è alcuna menzione di un altare dedicato a San Luca. In un dattiloscritto composto verso la metà dell’800 e conservato presso l’archivio del monastero di San Paolo, “Delle chiese esistenti nella terra e territorio di Leprignano Abbazia di San Paolo fuori le Mura di Roma”, la chiesa di San Sebastiano è descritta come avente tre navate e tre altari, dei quali il maggiore è dedicato a San Sebastiano e a San Luca, protettore speciale di Leprignano, mentre un altro è dedicato a san Biagio e un terzo al Santissimo Crocifisso; i primi due altari sono mantenuti dalla Cappellania di San Sebastiano, mentre il terzo appartiene ai fratelli Giovanni e Giuseppe Alei. Nel consiglio comunale svoltosi domenica 12 settembre 1869, Francesco Marotti afferma che “si sa per certo che i Reverendissimi Monaci abbiano fatto eseguire dall’architetto signor commendatore conte Vespignani gli studj sulla chiesa di San Luca, per ridurla a parocchia “. Ben diversa si rivelò in realtà, la sorte che attendeva la chiesa il cui altare maggiore era dedicato al Santo protettore, destinata alla scomparsa. La festa di San Luca è rimasta, ma è venuta meno la tradizione di celebrare le cresime nel giorno in cui essa cade.